Startup, la benevolenza del Mise

startup e innovazione

17 September 2015

Se startup innovative e PMI sono società embrionali e di modeste dimensioni per definizione, non è detto che restino tali. Ecco dunque, come chiarito dal Mise con il parere n. 154297 del 2 settembre 2015, che nel caso in cui le partecipazioni raggiungano un elevato livello di polverizzazione gli adempimenti informativi non possono risultare troppo gravosi. Gli obblighi informativi sui soci e sul loro curriculum vitae, imposti sia alle startup sia alle PMI, devono essere osservati solo in relazione ai soci rilevanti. L’impegno dei soggetti coinvolti come meri finanziatori, dunque, non dà vita a tali obblighi informativi. Lettura di favore, tanto più se la startup ricorre all’equity crowdfunding.

Ancora più favorevole all’attività economica da parte delle startup è il parere n. 155183 del 3 settembre 2015. Il decreto Crescita 2.0 impone che l’aspirante startup davvero “is starting from scratch”, che non derivi da fusioni, scissioni o da cessioni d’azienda o rami d’azienda. In altre parole, che non si avvantaggi di una esperienza pregressa. Ma quando il core business è l’affitto d’azienda, la società soddisfa il requisito? Sì, risponde (forse troppo?) generosamente il Mise, perché le fattispecie citate dall’articolo 25, comma 12, lett. g) sono tassative, secondo una interpretazione letterale e restrittiva.

Il fine è spronare le startup a investire in ricerca e sviluppo: ecco che anche le immobilizzazioni immateriali rientrano in quel volume di spesa percentuale rispetto al costo (o valore, se maggiore) della produzione, che costituisce requisito d’iscrizione. Da tale volume sono escluse solo le spese per l’acquisto e la locazione di immobili, ma non le immobilizzazioni immateriali, come chiarito dal Mise con parere n. 155175 del 3 settembre 2015, dettato per le PMI ma indicativo anche per le startup.

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