Rapporto sulla Valorizzazione della Rete di Volontari Alleati per la Salute

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26 luglio 2023

Condividere il linguaggio, rispettare le specificità.

Articolo di Monica De Paoli – Co-founder di Milano Notai, Vice Presidente e membro del Consiglio Direttivo di AssoBenefit per il triennio 2022-2024

 

Dobbiamo essere grati alle organizzazioni della rete Alleati per la salute e a Novartis per il progetto “Rapporto sulla Valorizzazione della Rete di Volontari Alleati per la Salute” che rappresenta l’espressione di un volontariato maturo, che chiede e merita riconoscimento e attenzione. 

L’ambizioso obiettivo di rendicontare il valore sociale ed economico generato dalle prestazioni dei volontari di cinque enti non profit operanti nel settore della salute, si pone come un modello di riferimento e come importante strumento di lettura per tutti i soggetti coinvolti dall’attività delle associazioni. 

Dall’indagine risulta quanto sia difficile selezionare KPI idonei, per i quali esistano dati sufficienti e omogenei; si tratta in parte – così credo – di un riflesso delle diversità organizzative e dimensionali degli enti coinvolti, ma anche di un certo approccio tipico di tutto il Terzo Settore in materia di raccolta dati e rendicontazione. Va detto che il periodo di riferimento dell’indagine è l’esercizio 2021, laborioso anno di transizione verso la piena attuazione della riforma del Terzo settore che, oltre a valorizzare il ruolo dei volontari, pone obblighi di trasparenza, rendicontazione e valutazione dell’impatto generato. Per molte organizzazioni, soprattutto piccole, questi obblighi sono intesi come oneri economico-organizzativi pesanti, tali da distrarre risorse dalle attività primarie. 

Così non è. Proprio perché conosciamo da anni le enormi dimensioni aggregate del volontariato (anche la presente indagine rivela numeri significativi) è giunto il tempo di pesarli in maniera fine, lavorando sempre più a criteri comuni di rendicontazione e valutazione dell’impatto. Il Codice del Terzo settore offre indicazioni importanti, ma è fondamentale il contributo di tutti per definire metodologie e individuare criteri uniformi e comparabili di lettura.

D’altra parte, un processo molto simile viene vissuto dal mondo profit (benefit e non benefit) sulla spinta della normativa europea e della sempre maggiore rilevanza dei fattori ESG nelle attività di impresa. 

Trovare linguaggi uniformi pur nel rispetto delle specificità, raccogliere dati comunicabili e spendibili non deve essere visto come burocrazia, ma come grande opportunità. Attrezzarsi per questa forma di “autoconsapevolezza” offre infatti enormi vantaggi agli Enti del Terzo Settore (ETS): la conoscenza oggettiva necessaria a una gestione moderna delle organizzazioni; un salto di professionalità non più procrastinabile; un vantaggio reputazionale da spendere in termini di rapporti con gli stakeholder, fundraising, accesso al credito. Sono condizioni irrinunciabili per interloquire alla pari con il privato profit e con il pubblico per ottenere riconoscimento, agevolazioni e sostegno economico. Voglio ribadire che gli ETS sono i partner strategici naturali del pubblico e del profit, perché ciascun vertice del triangolo necessita delle competenze e del supporto degli altri; il Codice del Terzo Settore è un’opportunità anche per sviluppare queste sinergie. 

Dopo gli anni nei quali la “E” ambientale dei principi ESG è stata al centro dell’attenzione, anche per la sua maggiore quantificabilità e oggettività, è arrivato il momento che la “S” sociale sia implementata con azioni concrete. E tutto comincia dal computo di quelli che potremmo chiamare i fattori della produzione, compreso l’enorme contributo offerto dal volontariato. Oggettivizzarne il valore non significa sminuirne i moventi ideali – tipico e mai del tutto superato purismo – ma contribuire affinché il lavoro di cinque milioni di italiani sia pienamente rispettato.

 

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